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L’introduzione dell’AVS nel 1948 e dell’AI nel 1960, ma soprattutto la piena occupazione e l’aumento dei livelli salariali nell’era del boom postbellico fecero calare, a partire dagli anni 1960, il numero delle persone dipendenti dall’assistenza sociale. Questo fece diminuire a sua volta la mole di lavoro dei servizi assistenziali cittadini, che in compenso, però, si trovarono sempre più spesso ad affrontare casi difficili. In una società del benessere, la povertà veniva interpretata come la conseguenza di difficoltà di adattamento individuali.
Alla metà degli anni 1970, la maggior parte dei Cantoni aveva adeguato le proprie leggi in materia di povertà, risalenti in alcuni casi al 19° secolo, ispirandosi al modello statunitense del «Social case work». Si iniziò così a parlare di «clienti» e di «consulenza», e il controllo e la correzione lasciarono il posto ad accertamenti personalizzati, piani d’aiuto individuali e misure di promozione dell’autonomia del singolo. Parallelamente, diminuì in modo drastico il numero degli internamenti in istituti di lavoro e prestazioni di natura pecuniaria rimpiazzarono quelle in natura. Le prestazioni sono globalmente migliorate e emerge il principio di un minimo “sociale”, che dovrebbe permettere un minimo di integrazione alla vita sociale e culturale.
Literatur / Bibliographie / Bibliografia / References: Matter Sonja (2011), Der Armut auf den Leib rücken: Die Professionalisierung der Sozialen Arbeit in der Schweiz (1900–1960), Zürich; Tabin Jean-Pierre et al. (2010 [2008]), Temps d’assistance. L’assistance publique en Suisse romande de la fin du XIXe siècle à nos jours, Lausanne; Sutter Gaby (2007), Vom Polizisten zum Fürsorger: Etablierung und Entwicklung der professionellen Fürsorge in der Gemeinde Bern 1915–1961, Berner Zeitschrift für Geschichte und Heimatkunde, 69, 259–287; HLS / DHS / DSS: Assistenza publica.
(12/2014)