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Protezione dei minori e degli adulti

A partire dal 16o secolo lo Stato inizia ad occuparsi dei bambini rimasti orfani. Nasce allora il moderno sistema tutorio, che nel 2013 viene ampliato e ribattezzato «protezione dei minori e degli adulti».

Con «protezione dei minori e degli adulti» (o, in precedenza, con «tutela») s’intende l’assistenza giuridica fornita a un minore o a una persona che non è in grado di amministrare i suoi beni e di far valere i propri diritti. Le autorità di protezione dei minori e degli adulti devono adottare misure nell’interesse della persona sotto tutela o curatela, anche se questa non ha la facoltà di decidere.

Dalla sfera familiare al controllo delle autorità

Sin dall’antichità sia le donne nubili che i gruppi emarginati della popolazione, come gli orfani, i disabili, i malati e gli anziani, sono posti sotto tutela. Fino al 16o secolo la tutela rappresenta una questione prettamente familiare destinata principalmente alla salvaguardia del patrimonio della persona interessata dalla misura. Nel tardo medioevo prende il via una serie di mutamenti che portano a una progressiva regolamentazione giuridica del sistema tutorio e dunque al trasferimento dell’assegnazione e del controllo dei tutori alle autorità comunali. Le ordinanze di polizia del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica del 1548 e del 1577 conferiscono ai tutori maggiori competenze, dando loro la facoltà a certe condizioni di agire in qualità di rappresentanti degli interessati per impiegare opportunamente il loro patrimonio.

Dalle regolamentazioni cantonali al Codice civile svizzero

Nel 19o secolo in Svizzera il sistema tutorio è regolato a livello cantonale. In questo periodo cresce il numero degli interventi delle autorità sulle famiglie con la giustificazione di un imperativo morale che vuole impedire l’influsso nocivo sui figli di genitori (prevalentemente di bassa estrazione) considerati di costumi corrotti. La paura, molto diffusa tra i ceti borghesi, della cosiddetta «depravazione» porta alla separazione dalle loro famiglie di bambini considerati a rischio e al loro collocamento in adozione, in affidamento coatto o in istituto. Persino i loro genitori possono essere messi sotto tutela e ricoverati in istituto.

Nell’ambito del diritto di famiglia, la tutela è uniformata a livello federale con il Codice civile svizzero del 1907, ma la sua applicazione rimane di competenza dei Comuni. L’attuazione pratica del testo di legge varia a seconda del Cantone, dell’autorità o del personale. Inoltre, le disposizioni del 1907 sono ancora fortemente influenzate da un approccio paternalista dello Stato e intervengono in modo invasivo nei rapporti familiari sottoponendo le persone interessate a un disciplinamento orientato alle norme sociali dominanti. Continuano inoltre anche sulla base del Codice civile le pratiche di collocamento coatto o di collocamento in istituto dei minori. Le donne tacciate di condurre una «vita dissoluta» (tra cui molte donne divenute madri al di fuori del matrimonio) vengono rinchiuse contro la propria volontà in cliniche psichiatriche o altri tipi d’istituto. Tra le altre vittime di questi «internamenti disposti sulla base di una decisione amministrativa» senza possibilità di ricorso in giudizio figurano i giovani considerati ribelli, le persone alcolizzate e i membri di vari gruppi emarginati. Questa prassi giuridica, largamente applicata sino agli anni 1960, è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1953, ratificata dalla Svizzera nel 1974. Per questo motivo, nel 1981, la Confederazione sostituisce l’internamento amministrativo con il regime di privazione della libertà a scopo d’assistenza, che assicura alle persone interessate una migliore protezione giuridica e in particolare migliori possibilità di ricorso.

Sulla portata dei collocamenti extrafamiliari nel 20o secolo non esistono dati precisi. Secondo alcune stime, intorno al 1930 è circa il 4-5 per cento dei bambini al di sotto dei 14 anni, ossia circa 60 000 persone, ad essere toccato da questi provvedimenti. Per quanto concerne i collocamenti amministrativi, i calcoli per il 20o secolo parlano di 50 000-60 000 persone. Entrambi i provvedimenti registrano un incremento in seguito all’entrata in vigore del Codice civile e raggiungono il loro apice tra il 1930 e il 1950.

L’adozione

L’istituto dell’adozione ha una lunga storia alle spalle. Già il diritto germanico prevede forme di adozione regolamentate a livello giuridico. In Svizzera le normative più antiche al riguardo risalgono al 19° secolo e sono emanate a livello cantonale. In questo periodo le adozioni servono soprattutto a garantire il passaggio del patrimonio e del nome, e sono dettate da motivazioni legate al diritto successorio. Le prime disposizioni nazionali relative all’adozione figurano nel Codice civile svizzero (CC) del 1907, che pone l’accento sulla protezione dei minori. Nei decenni successivi il diritto di adozione nazionale non registra grosse modifiche. È solo con la revisione del CC del 1972 che vengono adottate nuove disposizioni, più liberali, in materia. Da quel momento, oltre all’adozione di minorenni, è permessa anche quella di adulti. La possibilità dell’adozione è estesa anche ai genitori che hanno già figli e a quelli che vivono da soli. Il figlio adottivo è giuridicamente equiparato ai figli della coppia di genitori adottanti. Un’adozione deve essere preceduta da un rapporto di affiliazione di almeno due anni. Fino agli anni 1990 l’esecuzione delle adozioni resta di competenza cantonale. Non esiste una procedura di adozione uniforme a livello nazionale.

Si distingue tra adozioni nazionali (che hanno luogo all’interno della Svizzera) e adozioni internazionali. Fino agli anni 1960 le adozioni sono di regola nazionali. Negli anni 1970 e 1980 la percentuale di quelle internazionali aumenta, fino a raggiungere una quota compresa tra la metà e i due terzi di tutte le adozioni dopo il 1990, per poi diminuire. Nel complesso, il numero delle adozioni aumenta fino a oltre 2000 all’anno alla fine degli anni 1970, per poi diminuire progressivamente, attestandosi al di sotto delle 500 nel 2019.

Le agenzie di mediazione private assumono spesso un ruolo importante nelle procedure di adozione. Le autorizzazioni per le adozioni internazionali sono rilasciate inizialmente dalla Polizia federale degli stranieri e dal 1980 dall’Ufficio federale degli stranieri. Le incertezze o i problemi di carattere giuridico sono frequenti nell’ambito delle adozioni internazionali. Fino agli anni 1990 mancano meccanismi di controllo specifici tra lo Stato di accoglienza e lo Stato di origine. Così tra il 1973 e il 1997 numerosi minori vengono fatti entrare illegalmente in Svizzera e adottati da coppie svizzere. Già negli anni 1980 vi sono persone che si rivolgono all’Ufficio federale degli stranieri (oggi Segreteria di Stato della migrazione) per segnalare irregolarità nelle procedure di adozione internazionale. Negli anni 1990 le condizioni quadro internazionali per le adozioni tra Stati vengono costantemente migliorate, tra l’altro grazie alla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo (1989), entrata in vigore in Svizzera nel 1997, e alla Convenzione internazionale dell’Aia sull’adozione (1993), attuata in Svizzera tramite legge dal 2001. 

L’organo principale per le questioni legate all’adozione e all’affiliazione è l’associazione PACH (Pflege- und Adoptivkinder Schweiz), fondata nel 2016. Risultato della fusione tra le associazioni Schweizerische Fachstelle für Adoption e Pflegekinder-Aktion Schweiz, sul piano ideale, PACH si rifà soprattutto alla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo.

L’affiliazione

In Svizzera il concetto di affiliazione non è definito chiaramente fino al 21° secolo. Nel 19° e nel 20° secolo vi rientrano i bambini che non vivono dai genitori (biologici o adottivi). Lo strumento dell’affiliazione e quello dell’adozione sono molto legati tra loro, non da ultimo perché numerosi bambini vengono dapprima collocati quali affiliati e successivamente adottati dai genitori affilianti. Nel 20° secolo si parla spesso di assistenza “aperta” in riferimento all’affiliazione. Fino al 21° secolo molte associazioni private si impegnano in questo campo. Statistiche attendibili sull’affiliazione sono effettuate in Svizzera solo in tempi recenti. Negli anni 2015–2017 tra i 18 000 e i 19 000 bambini sono collocati presso terzi, di cui 4700–5800 in famiglie affilianti.

Nel 19° secolo in Svizzera vi sono diverse associazioni e strutture responsabili per il collocamento duraturo degli affiliati. Nel 1897 complessivamente 2609 affiliati sono sotto la sorveglianza di 43 associazioni di 14 Cantoni. Le associazioni per l’educazione dei poveri attive nell’ambito dell’affiliazione rilevano i bambini da collocare presso terzi e tengono un elenco dei potenziali genitori affilianti. Per il collocamento collaborano con le autorità comunali e cantonali, e fungono al contempo da organi di controllo delle condizioni familiari sia nella famiglia di origine che in quella affiliante. L’obiettivo principale del collocamento presso terzi è di educare i bambini provenienti da famiglie povere in modo che diventino cittadini autonomi e in grado di svolgere un’attività lucrativa. Al contempo, però, nelle famiglie affilianti e negli istituti per minori si verificano spesso abusi sistematici nei confronti dei bambini, talvolta stigmatizzati in modo generalizzato come «sbandati».

Il CC del 1907 non disciplina in alcun modo l’ambito dell’affiliazione, bensì lo delega alla competenza dei Cantoni. Le prime normative cantonali in materia sono emanate negli anni 1920 e 1930. Dopo la Seconda Guerra mondiale alcuni settori dell’affiliazione, in particolare quello del collocamento coatto di minori, sono oggetto di critiche crescenti da parte dell’opinione pubblica. I minori vittime di collocamento coatto sono affiliati provenienti da ceti rurali impoveriti, che vengono collocati privatamente presso famiglie contadine e sono spesso sfruttati quali manodopera a basso costo. La vigilanza delle autorità su questo ambito è sistematicamente insufficiente. Le associazioni per l’educazione dei poveri attive nell’ambito dell’affiliazione propongono un modello opposto rispetto al collocamento in istituto o al collocamento coatto. Nel 1948, ad esempio, nasce l’associazione Pflegekinder-Aktion Zürich, che dà successivamente vita a livello nazionale alla Pflegekinder-Aktion Schweiz, che si impegna per garantire posti «dignitosi» agli affiliati.

La prassi delle autorità in materia di collocamenti di affiliati cambia poco fino agli anni 1950. Il numero dei collocamenti presso terzi diminuisce tra il 1930 e il 1960 in seguito all’ampliamento delle misure di sostegno alle famiglie e alla riduzione generale della povertà nella fase di alta congiuntura. In occasione della revisione del diritto di adozione, nel 1972, si discute anche di una regolamentazione dell’affiliazione a livello nazionale. Il CC riveduto, entrato in vigore nel 1978, prevede tuttavia solo poche disposizioni al riguardo. Nel 1977 queste vengono riunite nell’ordinanza sull’accoglimento di minori a scopo di affiliazione (Ordinanza sull’affiliazione, OAMin), che disciplina per la prima volta l’ambito dell’affiliazione in modo uniforme a livello nazionale. L’OAMin è oggetto di revisioni nel 1998, 2002 e 2013, anche se quella del 2002 è principalmente legata alle novità nell’ambito delle adozioni internazionali.

La protezione dei minori e degli adulti nel 21o secolo

Verso la fine del 20o secolo diventa sempre più evidente che le disposizioni paternalistiche in materia di tutela del Codice civile del 1907 non rispecchiano più i principi della società contemporanea. A questo si aggiungono le difficoltà delle autorità di milizia, molto diffuse, nell’affrontare casi complessi come il rapimento di minori, gli sfruttamenti e altri tipi di abusi. Per far fronte a questa situazione viene avviata, nel 1993, una procedura di revisione volta a proteggere le persone oggetto di misure di protezione da discriminazioni, a rafforzarne il diritto all’autodeterminazione e a garantire la proporzionalità dei provvedimenti. Il nuovo diritto in materia di protezione dei minori e degli adulti, entrato in vigore nel 2013, introduce importanti modifiche. Chi non è in grado di far valere da solo i propri diritti deve per quanto possibile decidere autonomamente da chi farsi rappresentare. Sono inoltre limitate le competenze dei medici nell’ambito dei ricoveri a scopo di assistenza in istituto e prescritto l’esame periodico dei ricoveri in istituti chiusi. Al fine di garantire la proporzionalità dei provvedimenti e di meglio rispondere ai bisogni degli interessati, la legge prevede vari tipi di curatela a seconda del caso.

La definizione di misure di protezione specifiche per ogni caso rende la protezione dei minori e degli adulti più complessa, ponendo le autorità di milizia dinnanzi a nuove difficoltà. Con l’entrata in vigore del nuovo diritto, vengono istituite circa 150 autorità di protezione dei minori e degli adulti (APMA). Nelle regioni rurali le autorità di milizia vengono così sostituite da queste autorità professionali, organizzate in modo uniforme. Nei centri urbani, dove le autorità di protezione sono professionalizzate già da tempo, le modifiche hanno effetti meno importanti. Da questo momento i casi di maltrattamento e negligenza nei confronti di bambini, il diritto di visita in caso di divorzio, la privazione della libertà a scopo d’assistenza e la curatela per persone affette da demenza sono trattati esclusivamente da personale specializzato.

Mentre in Parlamento nessuno contesta l’introduzione di queste nuove autorità di protezione dei minori e degli adulti, la riforma scatena presto un acceso dibattito nell’opinione pubblica. La causa immediata è il caso di una madre che nel 2015 uccide i suoi due figli in seguito alla decisione dell’APMA di togliere la custodia ai genitori. Sulla scia delle critiche sollevate da questa vicenda, nel 2016 viene lanciata un’iniziativa popolare che chiede di limitare le competenze delle APMA a favore degli interessati e dei loro familiari. Alcuni Comuni hanno difficoltà con le APMA dato che, pur dovendone finanziare le misure, non hanno più voce in capitolo sulle decisioni e non possono accedere ai casi. 

Dal 2015 la questione delle misure coercitive a scopo assistenziale e tutelare è oggetto di studio da parte di una commissione indipendente di esperti istituita e incaricata dal Consiglio federale e nell’ambito di un programma di ricerca. Contemporaneamente sono in corso dibattiti politici sul riconoscimento e la riparazione dei torti subiti dalle vittime di misure coercitive a scopo assistenziale e di collocamenti extrafamiliari.

 

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(06/2021)